広島 la città della pace e dei Carp

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Alice MansonKid
view post Posted on 23/10/2016, 10:22 by: Alice MansonKid




I giapponesi solitamente sono molto composti e difficilmente ti dicono ciò che pensano in modo diretto. Devi sempre un po' intuirlo.
Perciò mi stupivo molto della loro reazione quando dicevo che sarei andata a visitare Hiroshima. Per un istante quella maschera impenetrabile, frutto delle costruzioni sociali, cadeva senza preavviso, lasciandomi completamente spiazzata. Sul loro volto, impassibile fino all'istante prima, affioravano un insieme di espressioni totalmente spontanee: stupore e qualcos'altro che non riuscivo a decifrare "Grazie!" (è la primissima cosa che mi hanno detto tutti) "Vai ad Hiroshima?! Grazie, grazie".
Il "numero due" dell'azienda per cui lavoro mi avrà fatto l'inchino tre volte nel giro di una sera (mi ha poi spiegato che lui è di Hiroshima e che il suo compleanno è esattamente il 6 agosto).
Ero troppo curiosa di capire la loro reazione.
Di preciso non sapevo cosa aspettarmi da Hiroshima, per cui decisi di non farmi troppe aspettative o viaggi mentali.

Il museo della pace non è un museo degli orrori: parrebbe che una volta tenessero anche feti deformi in esposizione, ma che poi abbiano deciso di toglierli.
Lo scopo principale del museo è quello di far riflettere il visitatore: non ci sono persone che piangono, vomitano o stanno male. Ci sono persone che pensano.
Alle 8.15 del mattino del 6 agosto 1945 la prima bomba atomica della storia viene fatta esplodere senza alcun preavviso sulla città di Hiroshima.
Nel punto di detonazione il calore è talmente forte che genera un piccolo sole del diametro di 280 metri, con una temperatura di 3000 gradi; mentre la pressione, 19 tonnellate per metro quadrato, genera un'onda d'urto violentissima che rade al suolo tutti gli edifici nel raggio di 2 chilometri.
Il lampo di luce sprigionato è talmente abbagliante che imprime sui muri, sugli edifici e sulle strade le ombre delle persone. In una sala del muso ci sono tre gradini di un edificio, dove si vede l'ombra di un uomo seduto. L'ombra: di norma così sfuggente e poco concreta, è la sola ed unica prova tangibile che rimane dell'esistenza di centinaia di persone, delle loro vite, dei loro pensieri, dei loro sogni e problemi. Solo l'ombra.
Chi si trova all'aperto non ha vita lunga: se non muore nell'immediato per l'esplosione, ha il corpo pieno di ustioni, o l'epidermide squagliato e lacero nel quale cominciano ad annidarsi le larve (misteriosamente le mosche sono l'unico animale che sopravvive) e il caldo è talmente insopportabile che le persone, per cercare sollievo, si riversano nel fiume Otagawa andando ad aggiungersi ai cadaveri che, galleggiando, ne nascondono quasi completamente le acque.
Sopravvive chi, sepolto sotto le macerie in fiamme, riesce ad uscire con le proprie forze; dovendo però lasciarsi indietro famigliari, amici o colleghi che chiedono aiuto: vivi sotto le macerie, ma intrappolati e impossibili da aiutare a causa del folle dilagare degli incendi.
Ci sono poi le radiazioni: invisibili, inodori ed incolori, che però aleggiano per vari giorni nello strato più basso dell'atmosfera, quello ad altezza uomo, quello che respiriamo.
A causa dell'alta temperatura le persone sono arse dalla sete e, cinque minuti dopo l'esplosione, cade dal cielo la cosiddetta "pioggia nera". E' una pioggia carica della polvere e della cenere delle macerie (per questo è nera), ma è anche estremamente radioattiva.
Le persone però non lo sanno e la bevono. E introducono nel loro corpo un'altra dose di radioattività che si avvinghia ai loro organi interni.
Dopo circa una settimana i loro capelli cominciano a cadere, il loro corpo si riempie di chiazze vermiglie e vomitano incessantemente il loro stesso intestino (per un effetto ancora sconosciuto delle radiazioni, lo strato più esterno dell'intestino si stacca e viene espulso tramite il vomito).
In una città di 381.000 persone, si stima che ne siano morti 140.000, forse 200.000 entro la fine del 1945.
Nei giorni immediatamente successivi i famigliari di persone che lavoravano o studiavano ad Hiroshima, si riversano nella città cercando i loro cari. Le radiazioni non risparmiano neanche loro.
Esistono dunque svariate migliaia di persone che muoiono nei decenni successivi di tumori e leucemie causati dalle radiazioni. Sono anche loro vittime della bomba, ma non essendo morti nell'immediato il loro numero è sconosciuto.
Altri invece sono sopravvissuti fino ad oggi, in giapponese si chiamano Hibakusha (lett. persone esposte alla bomba) a cui vengono garantiti esami specifici e cure mediche gratuite.
Spesso nei corpi di queste persone vengono trovate e rimosse schegge di vetro: la potente onda d'urto ha infranto tutti i vetri della città, che sono schizzati come proiettili conficcandosi nei corpi delle persone; nel museo c'è anche un frammento di muro con delle schegge in vetro incastrate a fondo nel calcestruzzo.
Ci sono anche molti oggetti personali esposti, tantissimi dei quali appartenenti a studenti.
Non è un caso. Proprio quel giorno era previsto che numerosi studenti delle scuole medie e superiori della provincia si recassero in città a dare una mano nelle fabbriche.
Il governo americano questo lo sapeva bene.
Perché il loro obiettivo era non solo quello di testare gli effetti della bomba nucleare, ma anche quello di demoralizzare per anni a venire il popolo giapponese. Era nelle loro intenzioni che i superstiti dovessero soffrire psicologicamente trascinando nella loro disperazione l'opinione pubblica nipponica.
Ma avevano clamorosamente sbagliato i loro calcoli. Non avevano tenuto in conto la forza di volontà ferrea e l'orgoglio di un popolo, non avevano minimamente considerato l'attaccamento alla vita e al futuro che sono in grado di nascere dopo tragedie di portata immensa.

Quando si esce dal museo ci si ritrova davanti al parco della pace. Al centro c'è una fontana con un monumento che ricorda due mani con i palmi aperti rivolti verso l'alto. Dove queste si congiungono brucia un fuoco che verrà spento solo quando non esisteranno più armi nucleari al mondo.
Alle 8.15 di ogni singola mattina, di ogni singolo giorno, l'orologio del parco suona una preghiera.
Più avanti si erge lo scheletro del Genbaku Dome, un ex centro esposizioni, unico edificio rimasto in piedi dalla devastazione della bomba, da cui si fa fatica a staccare gli occhi.
Quel giorno ho totalmente perso la cognizione del tempo. Sono entrata nel museo alle 9.30 del mattino, quando sono riuscita a scollarmi dal Genbaku Dome erano arrivate le 3 del pomeriggio, senza che me ne rendessi minimamente conto.

Hiroshima è però un posto che ti fa capire quanto sia inutile la vendetta e lo fa con discrezione, senza sermoni da domenica mattina e senza parole toccanti per cercare di convincere in ogni modo il visitatore.
E' un pensiero a cui si arriva da soli: fuori dal museo il cielo è limpido, il sole splende, la giornata è bellissima e il parco è costellato di monumenti e messaggi di pace (la maggior parte scritti da bambini delle scuole elementari).
Arrivi spontaneamente a capire che se il Giappone si fosse vendicato, se avesse lanciato a sua volta un ordigno nucleare contro gli Stati Uniti si sarebbe ripetuta la stessa tragedia ai danni di civili innocenti, e non sarebbe assolutamente servita a lenire la sofferenza e il dolore dei superstiti. Anzi forse li avrebbe amplificati: sapendo che la sorte terribile che aveva sconvolto per sempre le loro esistenze era toccata ancora, di nuovo, ad altre persone.

Il governo statunitense non ha mai pagato nessun risarcimento al Giappone per lo sgancio delle due bombe. Non solo, erano fermamente convinti che per 75 anni non sarebbe più ricresciuto nulla a Hiroshima e Nagasaki.
Ma, di nuovo, si sbagliavano di grosso.
Sono passati 71 anni, non c'è più alcuna traccia di radiazioni e oggi Hiroshima è una città bellissima che conta più di un milione di abitanti, e che ha cominciato a rialzarsi in piedi già dai primi anni Cinquanta.
E' piena di fiumi affiancati da viali alberati, perfetti per una camminata o una pedalata in mezzo al verde.
Il castello è stato ricostruito e lì vicino si può ammirare un albero di eucalipto, anche lui sopravvissuto all'atomica, che solleva il suo tronco nodoso verso il cielo. Ci si può riposare sotto i suoi rami e le sue foglie emanano un profumo penetrante e buonissimo.
C'è poi la zona centrale urbana che di sera è piena di luci, insegne al neon, di ristoranti (Hiroshima è famosa anche per la sua ottima cucina), di vita e di divertimenti.
Quella sera in particolare i Carp (squadra di baseball di Hiroshima) hanno vinto dopo decenni un importante torneo nazionale. I tifosi, riversati per le strade davanti ai maxischermi o nei ristorantini, guardavano la partita elettrizzati ed euforici.
In quei momenti il tragico passato della città sembra qualcosa di lontanissimo, sembra che non sia mai accaduto.
Eppure Hiroshima è così: frenetica, luccicante, moderna e super impegnata; ma non dimentica mai, per quanto il tempo passi in fretta.
Non dimentica, ma perdona. Non nel senso cristiano del termine, non per un vuoto principio secondo cui "si deve perdonare perché è giusto così e basta", ma perché la stessa tragedia non deve mai più ripetersi.

Credo fermamente che Hiroshima sia un posto da visitare almeno una volta nella vita.

Edited by Alice MansonKid - 24/10/2016, 07:56
 
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